Diventeremo zii!

person holding baby s hand

Caro diario, 

lo so, sono in ritardo.

Ero convinta che la settimana di vacanza in Calabria mi avrebbe concesso più tempo per scrivere, ma mi sono sbagliata. Paradossalmente ho scritto molto poco. Non lo so perchè. In compenso però ho letto molto. Moltissimo. Ho passato le intere a giornate a leggere: sotto l’ombrellone in spiaggia, in giardino durante i pomeriggi, a letto prima di addormentarmi. Quasi non riuscivo a staccarmi, dai miei libri. 

Ma di scrivere, non se ne parla proprio. Anche adesso faccio un po’ fatica. Chissà perchè. 

In questi giorni ho molti pensieri che mi frullano per la testa. Penso al prossimo libro da scrivere, ai prossimi lavori da fare sul camper, alla prossima vita che mi aspetta e che ogni volta che cerco di acciuffare, sembra allontanarsi un po’ di più, come se volesse farmi un dispetto. Ma penso anche al fatto che sto per diventare zia e la cosa mi emoziona in un modo che non riesco a spiegare. 

Zia Rossella. La zia nomade aspirante scrittrice che gira il mondo e vive in camper. La zia che si è sposata ma che al momento non vuole figli e sogna di bere il tay con il popolo Tuareg in mezzo al deserto. La zia che non vede l’ora di arrivare in Asia e vedere con i suoi occhi i nomadi del mare dell’Indonesia intenti a pescare qualche trota. La zia che forse questo bambino ricorderà come “quella strana signora che mi saluta dallo schermo dello smartphone”.

Ecco, questo mi spaventa un po’. Mi chiedo che rapporto potremmo mai avere con questo bambino, che tipo di legame riusciremo a instaurare vivendo a distanza. 

Non è un argomento nuovo. Sono anni che io e Michele ne parliamo – tra di noi, innanzitutto, e poi certo, anche alle nostre rispettive famiglie, che tuttavia non l’hanno ancora digerito – e siamo ben consapevoli che aver scelto di vivere come nomadi presupponga inevitabilmente una trasformazione dei rapporti umani così come siamo abituati a concepirli. Rapporti umani che dovremo vivere a distanza, volenti o nolenti. 

Tuttavia, questa è la prima volta che arriva un bambino nella nostra “nuova” famiglia (quella che stiamo creando noi fratelli), e certamente ci coglie un po’ impreparati. Infatti, un conto è sapere che le cose andranno in un certo modo, un altro conto è…viverle. 

Il punto è che noi lo sappiamo benissimo, che vedremo questo bambino poche volte nei prossimi anni. Non possiamo garantire di essere presenti quando nascerà – tutto dipenderà da dove ci troveremo, se avremo la possibilità di pagare un aereo eccetera – figuriamoci quando metterà i dentini o farà i primi passi! Accadrà lo stesso con tutti gli altri bambini che arriveranno, ovviamente, e anche con i nostri bambini, che chissà quando avranno la possibilità di conoscere i loro zii e i loro cugini, vivendo lontani da loro. 

Insomma, WOW! Per la prima volta sto realizzando tutto questo adesso. 

La cosa come mi fa sentire? Me lo sono chiesto sul serio: come ti fa sentire tutto questo, Rossella?

Lo dico senza troppi giri di parole: a me personalmente piace, vivere lontana dalla famiglia. Mi piace restare fuori da tutte quelle dinamiche familiari che inevitabilmente si vengono a creare quando vivi nello stesso posto dei tuoi genitori o zii o fratelli e sorelle. Mi piace vivere per conto mio e riuscire, così, a condividere solo alcuni momenti della mia esistenza, non necessariamente la mia intera quotidianità. Giudicami strana o egoista, come vi pare, io non la penso così. Persino quando mi immagino mamma, un giorno, non credo che sentirei l’esigenza di avere i miei genitori vicini durante la gravidanza o il parto. 

Con questo non voglio dire che non mi faccia piacere la loro compagnia, per carità, ma sono convinta che riuscirei a cavarmela benissimo anche solo con Michele al mio fianco. 

Insomma: non rimpiango la mia scelta di vita, anzi la percepisco molto in linea con la mia natura, e sono pronta ad accettare tutte le conseguenze, belle e brutte, che arriveranno. 

Detto questo, però, è ovvio che non essere presente a determinati eventi mi faccia soffrire. Nascite, matrimoni, anniversari, funerali, ricorrenze importanti in generale…Io, noi, non ci saremo. Non sempre, almeno. Anzi, direi quasi mai. 

È l’altra faccia della medaglia. 

Questo bambino o questa bambina nascerà a marzo. E noi dove saremo a marzo? Probabilmente ci saremo già lasciati l’Europa alle spalle. Avremo la possibilità di prendere un aereo e tornare per qualche giorno in Italia? Chi lo sa. Non possiamo garantirlo. 

E allora quando avremo la possibilità di conoscerlo? Chi lo sa anche questo. 

L’unica cosa che mi auguro davvero è che le nostre rispettive famiglie siano in grado di accettare la nostra scelta di vita, e quindi anche le mancanze che questa scelta di vita presuppone. 

E adesso ditemi la vostra. 

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